Il mio paziente ha appena saputo della sua diagnosi di lesione cronica: come mi comporto?

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Il dolore è stato definito dall’International Association for the Study of Pain (IASP) come “un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata ad un danno tissutale attuale o potenziale” (Raja, Carr et al., 2020).

Il dolore è un’esperienza normale nella vita delle persone ed è necessario alla sopravvivenza, in quanto l’incapacità di percepirlo potrebbe mettere a rischio la vita dell’individuo. È un importante messaggio che il corpo invia al cervello per comunicare che qualcosa non funziona e che necessita di attenzione, ma convivere con il dolore non è un’esperienza normale ed è ciò che motiva le persone a ricercare un aiuto (Bernard e Wright, 2004). Mentre il dolore acuto può essere considerato una spia di un qualcosa che non va nell’organismo e gli si riconosce quindi una funzione utile, il dolore cronico diventa esso stesso malattia (Ercolani e Pasquini, 2007).

Ricevere una diagnosi di lesione cronica porta inevitabilmente la persona a un cambiamento delle proprie abitudini e di stili comportamentali condotti fino a quel momento, ed alla necessità di individuarne altri più adattivi per sé.

Rabbia, paura, ansia e tristezza sono i primi stati emotivi che si manifestano nella persona che riceve una diagnosi di lesione cronica. È importante che la persona riesca ad arrivare ad un’accettazione del suo nuovo stato di vita, caratterizzata dalla presenza della malattia e dall’assenza dello stato di salute. Solamente accettando la nuova condizione, riuscirà a elaborare i propri stati emotivi, adattarsi ai cambiamenti e riuscire a vivere una vita di valore.

Studi hanno dimostrato come una migliore presa di consapevolezza del proprio stato di salute incida positivamente sugli esiti di trattamento. Per questo motivo, nella prima fase della comunicazione della malattia è fondamentale il ruolo dei professionisti sanitari.

Come agire davanti a un paziente con una lesione cronica quando riceve la diagnosi?

Il dolore rappresenta una sfida importante per i professionisti sanitari e solo un approccio di tipo biopsicosociale aiuta a tenere in considerazione la complessa esperienza dolorosa nell’individualità e unicità della persona. È necessario considerare il contesto relazionale e ambientale, e riuscire a instaurare un rapporto empatico con la persona.

Sarebbe utile indirizzare il paziente verso la ricerca di un supporto emotivo affinché possa iniziare un lavoro sull’accettazione della nuova condizione di vita e riuscire a rielaborare i propri stati emotivi. Il dolore non trattato influenza negativamente la guarigione delle ferite e ha un impatto negativo sulla qualità della vita.

Gli operatori sanitari dovrebbero riuscire a creare una relazione positiva con il paziente, riuscire a far sentire la persona accolta e compresa nei suoi stati d’animo.

Sarebbe utile che il professionista riuscisse a:

  • Essere presente.La prima visita dopo la diagnosi è essenziale poiché rappresenta il momento in cui si mettono le basi per instaurare una relazione fondata sulla fiducia tra l’operatore sanitario e il paziente; pertanto, è importante in primo luogo, dedicare un po’ più di tempo rispetto al solito per la prima visita in modo che il paziente percepisca l’interesse del professionista e questi possa trasmettere sicurezza e fiducia;
  • Evitare di fuggire o di delegare l’ascolto a un altro professionista dopo che la persona ha iniziato ad aprirsi e a raccontare la propria storia di vita;
  • Favorire la verbalizzazione. È importante che il paziente esprima le proprie paure, preoccupazioni, pensieri rispetto al futuro. Le prime emozioni che emergono dopo aver ricevuto la diagnosi sono paura, rabbia e tristezza. Normalizzare quello che la persona sente aiuta la stessa a esprimere i propri sentimenti e cercare di accettare le modalità in cui esprime queste emozioni, favorendo il pianto come momento di sfogo;
  • Ascolto attivo. Osservare la persona e ascoltarla attentamente. L’ascolto attivo si esprime incoraggiando l’esternazione delle proprie emozioni e dei pensieri, senza giudicarli, eliminando presunzioni e distrazioni. È importante evitare di interrompere, offrire soluzioni affrettate, parlare di sé stessi o terminare la visita prematuramente. L’obiettivo è mostrare consapevolezza e sensibilità dei sentimenti e delle preoccupazioni che la persona mostra;
  • Parlare il linguaggio del paziente ed essere consapevoli delle differenze culturali. Riuscire a utilizzare un linguaggio non medico permette alla persona di comprendere il proprio stato di salute. Il linguaggio può avere effetti negativi o positivi sulle persone con cui si viene in contatto. Esprimersi in modo incoraggiante e supportante può aiutare l’altro a potenziare le abilità e le competenze nella gestione del proprio dolore;
  • Fornire spiegazioni e informazioni adeguate. Riuscire a fornire informazioni su quando e dove verranno eseguite le cure, la loro durata approssimativa e chi le eseguirà o sui tipi di trattamento, aiuta a ridurre i livelli di incertezza del paziente e della sua famiglia. Tuttavia, è importante, almeno nelle prime fasi, non fornire una quantità eccessiva di informazioni al paziente, poiché è probabile che ciò saturi la sua capacità cognitiva e aumenti il livello di ansia o preoccupazione: suddividere le informazioni su più visite permette all’individuo di raccogliere le informazioni utili in quel momento.

Quando intervenire a livello psicologico?

La letteratura suggerisce che l’approccio biopsicosociale e l’intervento multidisciplinare sono più efficaci a lungo termine nel trattamento del dolore cronico (Eneberg-Boldon, Schaack e Joyce, 2020).

Il dolore cronico condiziona la qualità della vita e le relazioni sociali della persona e sono state mostrate associazioni negative tra la persistenza del dolore e il disagio psicologico, come depressione e ansia.

La terapia cognitivo comportamentale (CBT) e, in particolare, l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), si è rivelata incredibilmente efficace per aiutare le persone che soffrono di dolore cronico (Dahl, Wilson e Nilsson 2004).

L’ACT è una terapia di terza generazione, fondata sull’accettazione e sulla mindfulness: si incentra sulla promozione dell’efficacia comportamentale a prescindere dalla presenza di pensieri spiacevoli e di emozioni di diversa intensità. L’ACT cerca di favorire l’accettazione dei pensieri e delle emozioni e di stimolare la messa in atto di azioni che contribuiscono a un miglioramento nel modo di vivere della persona (Hayes, 2005). Cerca di promuovere la flessibilità psicologica, definita come l’abilità di essere in contatto con il momento presente in qualità di essere umano consapevole, in grado di mettere in atto comportamenti al servizio dei propri valori. L’obiettivo dell’ACT è scoraggiare l’evitamento esperienziale, rappresentato dall’indisponibilità a provare pensieri, sensazioni fisiche ed emozioni valutate negativamente, e dal conseguente tentativo controproducente di controllare queste esperienze attraverso la soppressione, l’evitamento e altre strategie di controllo (Hayes et al. 2006). Lo scopo dell’ACT è quello di aiutare le persone a creare una vita ricca, piena e significativa, mentre accettiamo il dolore che la vita inevitabilmente porta.

Diversi studi dimostrano come pochi pazienti con ferite croniche affrontino la condizione della malattia in modo adattivo; allo stesso tempo, molti percepiscono che il loro processo comporta reazioni emotive, fisiche e mentali che non riescono ad essere sempre affrontate correttamente dal personale curante. Riuscire a indirizzare le persone a ricercare un aiuto permette di avere una risposta positiva agli esiti di trattamento.

Il lavoro dell’operatore sanitario è fondamentale sia nelle fasi iniziali di presa di consapevolezza rispetto allo stato di salute del paziente sia nelle fasi successive. La vicinanza del professionista al paziente e la visione globale che è in grado di fornire nella valutazione della lesione, danno la possibilità all’operatore sanitario di modificare positivamente gli esiti del trattamento, per cui è necessario:

  • Essere presenti
  • Favorire la verbalizzazione
  • Ascolto attivo
  • Empatia
  • Utilizzare il linguaggio del paziente

 Bibliografia:

  • Bernard, A. M., Wright, S. W. (2004). Chronic pain in the ED. Am J Emerg Med 22(6): 444-447;
  • Eneberg-Boldon, K., Schaack B., Joyce K. (2020). Pain Neuroscience Education as the Foundation of Interdisciplinary Pain Treatment. Phys Med Rehabil Clin N Am 31(4): 541-551;
  • Ercolani, M., Pasquini L. (2007). La percezione del dolore, Il Mulino;
  • Esson, L. (2007). Inpatients felt that pressure ulcers had emotional, mental, physical, and social effects on quality of life because nurses did not adequately treat or manage their pain or discomfort. Evid Based Nurs, 10(4):128;
  • Dahl, J., LundgrenT. (2014). Oltre il dolore cronico. FrancoAngeli editore, Milano;
  • Hayes, S. C., Strosahl, K. & Wilson, K. G. (1999). Acceptance and Commitment Therapy: An experiential approach to behavior change. New York: Guilford Press;
  • Luthi, F., Vuistiner, P., Favre, C., et al. (2018). Avoidance, pacing, or persistence in multidisciplinary functional rehabilitation for chronic musculoskeletal pain: an observational study with cross-sectional and longitudinal analyses. PLoS One.;
  • Martínez, S., Forteza, M.D. (2002). Cumplimentación de un registro de valoración de enfermería en una unidad de hospitalización. Metas de Enfermería, 49:23-26;
  • Martinengo, L., Olsson, M., Bajpai, R., Soljak, M., Upton, Z., Schmidtchen, A., Car, J., Järbrink, K. (2018). Prevalence of chronic wounds in the general population: systematic review and meta-analysis of observational studies. Elsevier Inc;
  • Raja, S. N., Carr, D. B., Cohen, M., Finnerup, N. B., Flor, H., Gibson, S. Keefe, F. J. , Mogil, J. S. , Ringkamp, M., Sluka, K. A.,  Song, X. J. , Stevens, B., Sullivan, M. D. , Tutelman, P. R., Ushida, T.  & Vader, K.  (2020). The revised International Association for the Study of Pain definition of pain: concepts, challenges, and compromi- ses. Pain 161(9): 1976-1982;
  • Worden, W. (1997). El tratamiento del duelo. Asesoramiento psicológico y terapia. Barcelona, España: Paidós.
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