Il tallone rappresenta una delle sedi del corpo in cui più frequentemente si sviluppano ulcere cutanee, in particolare quelle che vengono definite lesioni da pressione (LDP): da recenti dati epidemiologici, è emerso che il tallone costituisce la seconda sede anatomica più colpita dall’insorgenza di LDP, subito dopo l’area sacrale.3
La patofisiologia delle LDP al tallone è, ancora oggi, poco chiara: le caratteristiche di questa zona anatomica, con la sua peculiare vascolarizzazione e il diretto coinvolgimento di strutture nobili quali ossa e tendini, fanno sì che le ulcere al tallone siano tanto diffuse quanto pericolose per la persona assistita, configurando un potenziale rischio di infezione profonda (osteomielite), e portando, nei casi più gravi, anche alla necessità di amputazione maggiore dell’arto interessato, con conseguenze sistemiche che possono condurre fino alla morte.4
Come definire gli obiettivi terapeutici? Valutare la persona, la causa e la lesione.
A causa di questa complessità, nella presa in carico di una persona portatrice di lesione al tallone è fondamentale adottare un approccio olistico, che preveda una valutazione complessiva:
- della persona assistita e del contesto socioeconomico in cui vive (la persona è autonoma? Ha un caregiver di riferimento? Le sue condizioni generali sono buone? Il suo stato nutrizionale è adeguato?);
- della causa eziologica specifica della lesione;
- delle caratteristiche della lesione cutanea (bordi, cute perilesionale, tipo di tessuto, essudato, odore…).
Questo approccio ci permette di poter definire obiettivi di guarigione coerenti, ancor prima di pensare alla pianificazione di un trattamento locale, potendo così garantire la massima qualità dell’assistenza, senza che questo implichi uno spreco di risorse sanitarie, oltre che di “tempo di cura” per la persona.
È imprescindibile, dunque, che prima di utilizzare medicazioni avanzate venga valutato attentamente il potenziale di guarigione dell’assistito di cui ci prendiamo cura: infatti, qualora l’obiettivo di guarigione non fosse perseguibile, si dovrebbe privilegiare il mantenimento del cosiddetto ambiente asciutto, in modo da prevenire complicanze infettive come gangrena umida e fasciti necrotizzanti, o sepsi dovute alla diffusione dei processi infettivi locali.4
Oltre ad una indagine approfondita della storia clinica del paziente, focalizzata in particolare su eventuali patologie che possano interferire sui processi eziopatogenetici della lesione stessa (diabete mellito, deficit vascolari, neuropatia), le raccomandazioni scientifiche più recenti concordano soprattutto sulla necessità di effettuare una valutazione vascolare completa, prima di mettere in atto qualunque tipo di trattamento locale, utile anche per diagnosticare la cosiddetta Sindrome del tallone orfano (Orphan heel syndrome – OHS), ossia l’assenza di vascolarizzazione del tallone nonostante una normale perfusione dell’avampiede, condizione frequente nel piede diabetico.4
La definizione di una alterata perfusione vascolare (confermata da test diagnostici quali: Ankle Brachial Pressure Index – ABPI, Toe Brachial Pressure Index -TBPI, Ossimetria Transcutanea – TcPO2) è infatti dirimente per la scelta del trattamento: ad esempio, nel caso di ridotta/alterata perfusione vascolare, in presenza di lesioni cutanee al tallone è fortemente raccomandato non utilizzare medicazioni occlusive, al fine di prevenire amputazioni e morte conseguenti a disseminazione di infezioni o gangrena, correlate alla condizione di ischemia cronica.4
Il trattamento locale della necrosi al tallone: quale approccio scegliere?
Una volta definita la visione d’insieme dell’assistito e della sua lesione, è proprio l’impostazione del trattamento locale che può fare la differenza in termini di rischi e benefici per la persona stessa: di fronte ad una lesione necrotica al tallone, è indispensabile che il professionista conosca i criteri che determinano la scelta di un trattamento piuttosto che un altro, considerando che nella pratica clinica possono essere adottati approcci differenti per rimuovere i tessuti necrotici (= debridement, o sbrigliamento) dal fondo di una lesione.
I metodi più comuni utilizzati per il debridement dei tessuti non vitali sono: sbrigliamento chirurgico/con strumenti taglienti, chirurgico conservativo, autolitico, enzimatico, larvale e meccanico. La scelta del tipo di sbrigliamento deve essere appropriata alle condizioni del paziente e al contesto clinico in cui si opera, e coerente con gli obiettivi globali di cura.
Il primo step per poter mettere in atto un trattamento locale adeguato consiste nel distinguere la tipologia di necrosi che stiamo osservando: si tratta di necrosi umida o di necrosi secca/asciutta? Nel caso di una LDP, a quale stadio corrisponde secondo il Sistema di Classificazione Internazionale NPUAP/EPUAP (stadio I – II, III – IV, Sospetto Danno Profondo, o Non stadiabile/a Profondità sconosciuta)1 ?
La necrosi, ossia quel tessuto divenuto non vitale a causa di mancato apporto di ossigeno e nutrienti, può avere diversi livelli di disidratazione, passando da escara secca (di colore nero, completamente disidratata) a necrosi umida (color marrone/marrone scuro).
Nel caso di necrosi al tallone, possiamo distinguere l’escara “stabile”, ossia la necrosi secca, dura, asciutta, adesa al fondo di lesione, dall’escara “instabile”, dove invece si rilevano segni di eritema, allodinia, edema, secrezione purulenta, fluttuanza, crepitio, e/o cattivo odore (cioè, segni di infezione!).2
Questa distinzione è basilare per la scelta dell’approccio terapeutico: nel primo caso, sebbene non vi sia una posizione netta da parte degli esperti, le evidenze scientifiche suggeriscono che l’escara secca e stabile del tallone proteggerebbe il calcagno come una barriera naturale, pertanto è controindicato effettuarne lo sbrigliamento, in particolare se collocata su un arto ischemico.
In questa situazione, infatti, lo sbrigliamento ottenuto “per idratazione”, ossia attraverso l’autolisi o con l’applicazione di enzimi proteolitici, porterebbe ad un peggioramento della lesione, aumentando il rischio di infezione locale (passando da necrosi secca a gangrena umida) con conseguente possibile esposizione ossea (osteomielite). È invece raccomandato, oltre ad agire sulla causa eziologica, favorire il distacco naturale della necrosi attraverso l’essiccamento (realizzato principalmente con l’applicazione di medicazioni imbevute di antisettico).2
La presenza di un’escara “instabile”, invece, costituisce una necessità clinica urgente di rimozione del tessuto devitalizzato, a causa dell’elevato rischio infettivo correlato: secondo le raccomandazioni scientifiche, in caso di necrosi estesa, cellulite progressiva, crepitio, fluttuanza e cattivo odore è indicato richiedere la consulenza specialistica di un chirurgo per valutare un debridement chirurgico urgente/con strumenti taglienti.2
In particolare, il trattamento chirurgico è raccomandato nei pazienti adulti che presentano una o più LdP al tallone Stadio IV (soprattutto nel caso in cui siano complicate, con infezione dell’osso e dei tessuti molli circostanti), con lo scopo di supportare la guarigione della lesione e prevenire un’amputazione maggiore.4
Nel caso non vi sia una necessità urgente di drenaggio o rimozione del tessuto devitalizzato, in presenza di necrosi umida è possibile adottare un approccio conservativo, attraverso metodiche di sbrigliamento meccanico, autolitico, enzimatico o biologico, a seconda delle condizioni cliniche dell’assistito, della situazione vascolare e degli obiettivi di cura, senza dimenticare l’importanza della gestione e del controllo della carica batterica e dell’essudato, come definito dai principi della preparazione del letto di ferita o Wound Bed Preparation (WBP).
Occorre ribadire che qualunque metodologia di debridement dovrebbe essere attuata solo alla luce di uno studio vascolare approfondito, in modo tale da prevedere e determinare se il flusso arterioso locale sia sufficiente a supportare la guarigione della lesione una volta sbrigliata.
«Prevenire è meglio che curare»: è possibile prevenire le lesioni del tallone?
Oltre alle indicazioni generali per la prevenzione delle LDP, in particolare riguardanti il riposizionamento e la variazione delle posture delle persone a rischio, le evidenze scientifiche più recenti raccomandano fortemente che nei soggetti adulti diabetici e non diabetici con preesistenti LDP del tallone stadio I e II, dovrebbe essere applicato un dispositivo con tecnologia a bassa frizione (Low friction technology device – LFT) e/o medicazioni al silicone al fine di prevenire ulteriori danni cutanei. Inoltre, tutti i pazienti allettati con LDP al tallone, dovrebbero indossare un dispositivo di scarico (con o senza cuneo incorporato).3
Secondo le ultime raccomandazioni scientifiche1, i soggetti portatori di LdP al tallone stadio IV o con Sospetto Danno Profondo o Non stadiabili/a Profondità sconosciuta, che siano diabetici o meno, dovrebbero evitare di camminare, e indossare un apposito dispositivo di scarico quando seduti in carrozzina, per favorire la guarigione della lesione e prevenire danni ulteriori; nel caso di pazienti portatori di lesioni di I-II stadio invece, si raccomanda la deambulazione solo indossando un dispositivo di scarico.4
Come prendersi cura delle persone portatrici di lesioni al tallone?
La presa in carico di una persona portatrice di LdP del tallone è diventata una tematica parecchio discussa e indagata negli ultimi anni nell’ambito del Wound Care, dando origine ad una recente produzione di evidenze scientifiche in letteratura, seppur ancora limitate.
Nella pratica clinica, l’approccio alle ulcere al tallone è, ad oggi, poco sistematico e piuttosto eterogeneo: i comportamenti clinico-diagnostici e terapeutici sono soggetti ad elevata variabilità a seconda del contesto assistenziale in cui ci si trova, e sono spesso caratterizzati da un approccio empirico e non evidence-based, portando all’applicazione di trattamenti non solo poco efficaci nel raggiungimento degli obiettivi di guarigione, ma addirittura potenzialmente dannosi per la persona assistita, con un conseguente peggioramento degli outcomes clinici (tra cui anche la mortalità!) e un importante aumento dei costi sanitari correlati.4
In base ai risultati di recenti indagini e studi statistici, l’introduzione di un team multidisciplinare che si occupi sistematicamente delle persone portatrici di lesioni al tallone avrebbe un enorme potenziale nel migliorare la pratica clinica, riducendo il rischio di amputazioni maggiori e supportando il recupero funzionale dell’arto, ma i limiti di budget del Sistema Sanitario Nazionale, nonché la distribuzione poco organizzata di professionisti specialisti/esperti in Wound Care, sono aspetti che limitano inevitabilmente l’implementazione di percorsi strutturati all’interno dei contesti di cura.4,5
Per questo motivo è fondamentale che le raccomandazioni scientifiche vengano diffuse il più possibile tra i colleghi e tra i caregivers che si prendono cura di persone portatrici, o a rischio di sviluppo, di lesioni cutanee al tallone, al fine di guidare i clinici nel processo decisionale per la scelta delle strategie di prevenzione e trattamento, ma anche sensibilizzare e informare caregivers e assistiti riguardo a questo argomento, migliorando così la qualità della vita degli assistiti.
Divulgare le buone pratiche cliniche può, infatti, ridurre l’incidenza di questo fenomeno attraverso la conoscenza di strategie preventive, migliorare l’appropriatezza delle cure e permettere una gestione condivisa di questa condizione, con una conseguente riduzione dei tempi di guarigione e dell’enorme impatto sui costi delle risorse sanitarie associate a trattamenti inappropriati.
Bibliografia:
- European Pressure Ulcer Advisory Panel, National Pressure Injury Advisory Panel and Pan Pacific Pressure Injury Alliance. Prevention and Treatment of Pressure Ulcers/Injuries: Quick Reference Guide. (2019) Emily Haesler (Ed.). EPUAP/NPIAP/PPPIA.
- National Pressure Ulcer Advisory Panel, European Pressure Ulcer Advisory Panel and Pan Pacific Pressure Injury Alliance. Prevention and Treatment of Pressure Ulcers: Quick Reference Guide. (2014) Emily Haesler (Ed.). Cambridge Media: Osborne Park, Australia.
- Fowler E, Scott-Williams S, McGuire JB. (2008) Practice recommendations for preventing heel pressure ulcers. Ostomy Wound Manage; 54:42–48, 50–52, 54–57.
- Rivolo M, Dionisi S, Olivari D, Ciprandi G, Crucianelli S, Marcadelli S, Zortea RR, Bellini F, Martinato M, Gabrielli A, Pomponio, G. (2020) Heel pressure injuries: consensus-based recommendations for assessment and management. Adv Wound Care, 9 (6), 332-347.
- Thorpe L. (2017) Assessing preventing and managing heel pressure ulcers. Wounds UK; 13:67–70
3 commenti su “La lesione necrotica del tallone: cosa fare (e cosa non fare)?”
Grazie. Molto utile. Purtroppo lavorando al domicilio del paziente spesso mi trovo in difficoltà nell’avere una valutazione vascolare in tempi ragionevoli.
Complimenti per il suo articolo l ‘ho ritenuto molto incisivo ,preciso e ricco di informazioni molto utile per la mia formazione.
Mi piacerebbe tanto saperne di più ,soprattutto su lesione vascolare/arteriosa.
Grazie mille e buona serata
Ottimo lavoro